Sognare: un lavoro mentale particolare
Sognare: un lavoro mentale particolare
Questa è una delle domande più frequenti che mi vengono rivolte quando le persone sanno che sono uno psicologo. E di solito le parole che seguono questa domanda lasciano deluse le aspettative di una risposta chiarificatrice ed illuminante, sebbene offrano diversi spunti di riflessione e, soprattutto, forniscano una spiegazione sul perché non è facile interpretare i sogni e tanto meno fornire risposte sullo stile della “smorfia napoletana” o del “dizionario dei sogni”.
Sul sogno esistono molte teorie e ancora poche certezze. Il sogno è un mondo affascinante e complesso, così come il cervello. Il sogno tecnicamente è un fenomeno legato al sonno, ed è il risultato dell’attività cerebrale. Il cervello è composto da diverse aree specializzate e durante il sonno alcune aree sono più attive di altre ed utilizzano suoni, immagini, emozioni e sensazioni come durante la veglia, ma in modo diverso. Siccome il sogno è il risultato dell’attività del cervello, è strettamente legato al corpo che lo contiene, e quindi alla persona, con tutta la ricchezza e complessità interiore che la caratterizzano. I sogni sono il linguaggio simbolico della mente di chi li ha prodotti e, metaforicamente parlando, possiamo definirlo come un dialetto. Per interpretare un dialetto bisogna conoscere molto bene la mente che l’ha prodotto.
Ecco perché è difficile interpretare un sogno in modo univoco: è altamente personalizzato e frutto di una forma diversa di elaborazione della persona che sogna.
Le teorie sul sogno sono molteplici. Alcune lo descrivono come semplice prodotto del funzionamento cerebrale (come se si trattasse di un motore che deve stare sempre acceso), mentre altre e più recenti teorie sul consolidamento della memoria sostengono che quando dormiamo non facciamo altro che selezionare, classificare ed immagazzinare le esperienze e le informazioni raccolte durante la veglia, separando quelle utili da quelle inutili. Per le teorie psicodinamiche l’elaborazione mentale durante il sonno è molto più complessa della memorizzazione ed è legata all’elaborazione del significato delle proprie vicende, sia spiacevoli che piacevoli. Per Freud il sogno era “la via regia per l’inconscio”. Jung ipotizzava invece un “Inconscio Collettivo”, una specie di grande mente comune a tutti gli essere umani, e quindi denso di simboli comuni a tutti.
Comunque, in sintesi, poiché il cervello continua a lavorare anche quando dorme, elabora i contenuti delle esperienze fatte in stato di veglia in un linguaggio simbolico, diverso da quello usato nello stato di veglia e di consapevolezza.
Grazie alla risonanza magnetica sappiamo che durante il sonno, indipendentemente da cosa sogniamo, vengono attivate le stesse aree cerebrali che si attiverebbero durante lo stato di veglia e durante l’esecuzione di determinate azioni. Ed ecco perché alcuni sogni sono percepiti come reali e in alcune occasioni producono attivazioni motorie tali e quali a quelle da svegli: se sogniamo di ballare, si attivano le stesse aree cerebrali che si attiverebbero se stessimo realmente ballando.
Eppure, il nostro cervello o una parte di esso sa che stiamo sognando e mantiene un controllo motorio, continuando a funzionare in modalità diversa dallo stato di veglia e con un altro ritmo. Un esempio di come il cervello distingua nettamente il corpo reale da quello onirico del sognatore è rappresentato dal fatto che per quanto ci muoviamo nel sonno, raramente cadiamo dal letto: una parte di noi sa bene quanto spazio abbiamo a disposizione e riusciamo a restare entro quel limite.
Un altro esempio di come la nostra mente continui a lavorare durante il sonno attraverso il sogno viene testimoniato da un episodio della vita di Einstein. Il grande scienziato, che era solito fare un pisolino pomeridiano e comunque riposare quando ne sentiva la necessità, racconta di aver sognato la formula della relatività durante una di queste occasioni, e pur non comprendendone il significato immediatamente, sapeva che se l’aveva sognata un significato doveva averlo. Così, senza esitazione, prese nota di quella strana formula prima che la memoria svanisse. Come Einstein, anche altre persone raccontano di aver risolto problemi dopo un sogno; il fatto di avere una consapevolezza diversa fa percepire questa fase del lavoro cerebrale come estranea, o come altro da sé. Spesso attraverso il sogno si arriva quindi all’elaborazione anche di conflitti e di problemi reali. O semplicemente si continuano a rivivere situazioni problematiche, emotivamente intense. E’ questo il caso degli incubi ricorrenti delle persone che hanno subito un grosso trauma.
Alcune persone riescono a fare dei “sogni lucidi”, cioè riescono a sognare, consapevoli di star sognando; inoltre riescono anche in un certo senso a pilotare i sogni, cioè a decidere cosa sognare. D’altronde il cervello sogna nella lingua della persona che lo contiene, e questo vuol dire, che una parte del linguaggio del cervello è frutto della sua storia di vita. Quindi possiamo educare il cervello a sognare in una determinata direzione, utilizzando un linguaggio sempre simbolico, ma più definito. Ma allora “la smorfia napoletana” ed il “dizionario dei sogni”? Se vogliamo considerarli come chiavi di letture valide a priori commettiamo molto probabilmente un errore. Acquistano invece un significato particolare se la persona si allena a sognare secondo il linguaggio della “Smorfia” o del “dizionario dei sogni”. Educo il cervello ad utilizzare quella determinata simbologia. Qualcosa di simile succede nelle persone che conoscono bene più lingue: possono sognare in lingue diverse.
Resta, comunque, la consapevolezza che ogni persona attribuirà un significato strettamente individuale al sogno, rendendolo una proprietà esclusiva, proprio perché pieno di significati personali. In conclusione si può dire che l’interpretazione del sogno è qualcosa di molto complesso e personale e che il sogno può rappresentare o una semplice rivisitazione dell’esperienza quotidiana o l’elaborazione di qualcosa di emotivamente cruciale per il sognatore.