Quanto aiuta accontentare i capricci?

Quanto aiuta accontentare i capricci?


Un giorno aspettavo che mia nipote uscisse da scuola. Condividevo l’attesa con molti altri nonni e genitori alcuni dei quali erano in compagnia di altri bambini.

Nella scuola c’è un piccolo giardino; tutti erano fermi davanti al portone ad eccezione di una nonna che passeggiava con il suo nipotino nel piccolo spazio verde. Ad un tratto, il piccolo ha raccolto da terra un rametto con due ricci di castagne; l’ha mostrato felice alla nonna e le ha chiesto di tenerlo per portarlo alla mamma. La nonna l’ha preso e hanno continuato la loro passeggiata. Mentre si stavano riavviando verso il portone, un altro bambino della stessa età del primo si è avvicinato loro e con fare minaccioso e prepotente ha detto alla signora: “Questi sono i miei, dammeli!”. La signora ha risposto al bambino: “Tesoro, il mio nipotino ha raccolto questa cosa per terra e non c’era nessuno; mi dici perché sono i tuoi?”. “Dammeli, ho detto, sono i miei!”, ha gridato il bambino senza rispondere alla domanda. “Spiegami”, ha replicato la signora, ma, come risposta, il bambino ha cominciato a piangere battendo i piedi ed urlando in modo isterico: “Li voglio, sono i miei! Li voglio, dammeli! Dammeli! Dammeli!” La signora, calmissima, ha risposto: “Spiegami. Se mi fai capire e me li chiedi gentilmente non c’è problema”. A quel punto, come uscito dal nulla, è arrivato un anziano signore, chiaramente il nonno del piccolo, il quale con tono simile al nipote ha detto: “Li aveva visti lui, poco fa”. “Può darsi, ma li ha lasciati per terra e il mio nipotino li ha raccolti. Gli ho solo chiesto di spiegarmi e di chiedermeli con gentilezza”. Nel frattempo, il bambino, aggrappato alle gambe del nonno, continuava a gridare: “Li voglio, li voglioooo, li voglioooooo!”. Il nonno, allora, ha suggerito al piccolo: “Dai, chiedili alla signora!” ma il bambino ha cominciato a strillare ancora più forte rispondendogli: “Noooooooo, io no! Chiediglieli tuuuuu!”. A quel punto il nonno si è rivolto alla signora e l’ha apostrofata con un: “Lei è proprio scema! Mettersi a litigare con un bambino di tre anni” e si è allontanato mentre il nipote continuava a gridare e a tentare di sdraiarsi per terra per la frustrazione.

Davvero quella nonna stava litigando con quel bambino, oppure gli aveva soltanto dimostrato, in modo tangibile, che non tutti gli adulti sono così deboli da sottostare alla sua tirannia?

Nel pomeriggio, nel silenzio del mio studio, ascoltavo una paziente in psicoterapia: si lamentava di quanto le pesasse la momentanea assenza del marito, lontano per una breve missione di lavoro all’estero. La donna è una giovane professionista e mamma di una bambina di tredici mesi. So che ha alle spalle una madre e una suocera che la aiutano e così ho voluto approfondire i motivi di quella mancanza per verificare cosa nascondesse. La risposta è stata che ciò che le pesa di più quando il marito non è con lei è fare la spesa al supermercato perché – mi ha spiegato – se lui c’è, tiene la bambina in braccio ma, quando è da sola, lei non può, ovviamente, fare la stessa cosa. Le ho ricordato che tutti i carrelli del supermercato hanno il seggiolino su cui far sedere i bambini ma lei ha replicato che sì, è vero, ma sua figlia non vuole stare lì e, quando tenta di farvela sedere, si mette a piangere e per questo il supermercato è diventato per lei un vero e proprio incubo.

Ecco, quindi, un altro palese esempio di tirannia infantile.

Cosa sta succedendo, oggi, ai bambini? Succede che molti genitori hanno rinunciato al loro ruolo di educatori. Si dice sempre che educare, dal latino “e-ducere” significa “condurre fuori” – secondo il dizionario – “le facoltà intellettuali dei giovani abituandone l’animo ai sentimenti buoni e virtuosi, al senso del bello, alle maniere civili e gentili. Sviluppare e affinare le attitudini, le facoltà spirituali, la sensibilità”.

Troppo spesso, però, molti giovani genitori confondono i loro doveri con quelli della scuola e dimenticano, o non sanno, che le basi dell’educazione si pongono tutte prima dei tre anni e che è su quelle fondamenta che si fonderanno tutte le esperienze successive. Prima di tutto, aiutare il bambino a diventare consapevole che ci sono dei limiti – siano essi fisici o psicologici – gli eviterà più tardi di interpretare il mondo e le persone come mostri da odiare o di cui aver paura; sentimenti che, se rinforzati nel tempo, possono determinare disturbi della personalità rispettivamente di tipo paranoide o fobico.

La mamma che permette al figlio che ancora non va all’asilo di rifiutare il cibo che ha preparato per lui offrendogliene ogni volta un altro alternativo per accontentarlo, pone le basi perché l’asilo, quando ci andrà, e le stesse educatrici con cui entrerà in contatto diventino ai suoi occhi un posto e delle persone sgradevoli. I genitori che permettono al figlio di ottenere qualunque cosa utilizzando il pianto e i capricci non lo aiutano a crescere ma gli trasmettono due messaggi opposti ed entrambi falsi e, dal punto di vista psicologico, molto negativi. Il primo è che può ottenere tutto, l’altro è che gli adulti con cui si confronta sono deboli. Il primo incita alla prepotenza, a ottenere qualsiasi cosa voglia con ogni mezzo ed è quello che trasforma qualunque bambino che fa sani e normali tentativi di autoaffermazione in un bambino prepotente con gli altri, aggressivo, a volte violento con i coetanei e molto spesso con quelli più piccoli di lui. Il secondo aspetto, in antitesi con il primo ma che paradossalmente lo rafforza, è la percezione che acquisisce il bambino della debolezza di quegli adulti che subiscono la sua tirannia. L’adulto, infatti, che subisce il ricatto del capriccio e/o del pianto mette il bambino nella condizione di non potersi fidare di lui: come avere fiducia e sentirsi sicuro di chi è tanto debole con lui che è solo un bambino? Nell’episodio di fronte alla scuola, ad esempio, il bambino non solo ha vissuto la richiesta della signora come un limite alla sua onnipotenza ma ha anche sperimentato che neppure il nonno dal quale pretendeva un intervento risolutivo, è onnipotente.

I bambini hanno bisogno di essere guidati e di percepire i necessari limiti e ciò non equivale a essere autoritari bensì autorevoli mostrando autocontrollo, fermezza e, soprattutto, coerenza.

Maria Pichi
Psicologa-psicoterapeuta