Attacco di panico: un segnale vitale dal profondo

Attacco di panico: un segnale vitale dal profondo


L’esperienza dell’attacco di panico, per chi l’ha provata, è catastrofica.

Giunge all’improvviso, senza che apparentemente vi sia una causa scatenante che la giustifichi e sconvolge l’equilibrio psichico, innescando reazioni fisiologiche molto forti.

È una botta di adrenalina che si diffonde nel corpo e nella mente, come di fronte ad un pericolo concreto e giustificato per la propria vita. La persona che ne è colpita sperimenta forte paura (di morire, di impazzire, di perdere il controllo), sudorazione, aumento del battito cardiaco, confusione, istinto a fuggire, necessità di proteggersi e soprattutto un senso di disorientamento che mette in crisi il proprio equilibrio, in un modo che si percepisce come irreversibile e non risolvibile.

Una volta provata, la sensazione di panico rimane addosso come un timore concreto, sempre presente, che può tornare a farsi sentire, in modo inaspettato, da un momento all’altro.

Non è una sensazione piacevole, di certo.

E’ un’esperienza che sempre più persone riferiscono di provare quando trovano il coraggio di chiedere aiuto ad un professionista della cura.

L’attacco di panico è un sintomo, non è la “malattia” e, se non si cura quest’ultima, può facilmente evolvere in forme fobiche più resistenti (agorafobia, claustrofobia, fobia sociale e via dicendo: sostanzialmente paura di trovarsi in determinati contesti).

Il passaggio successivo infatti è la paura di avere nuovi attacchi di panico, il che può portare ad evitare le situazioni in cui si teme possano nuovamente scatenarsi quelle brutte sensazioni.

Le persone che chiedono aiuto vogliono, comprensibilmente, non provare più quella maledetta esperienza e tornare a quello che, generalmente riferiscono, essere stato un “prima” normale.

Sappiamo che la malattia è collegata, in qualche modo che va scoperto e capito, con la storia, recente e passata, della persona. Di fatto, l’attacco di panico è un segnale di qualcosa di significativo che emerge dal profondo e che chiede, pur con questa modalità di allarme, di essere ascoltato.

Le cause di questo malessere sono profondamente radicate nella psiche di chi chiede aiuto ed accade che la persona che sperimenta il panico è incapace di giungere ad esse in autonomia e creare il collegamento tra causa ed effetto, già di per se fonte di rassicurazione.

E’ in uno stato di panico: paura allo stato puro!

Nei tempi attuali, dominati dall’illusione di poter controllare quanto più possibile il mondo (interno ed esterno), il fatto di sentire un forte ed intenso disagio e di non riuscire ad associarlo ad una causa che lo determina, manda in tilt, fa sentire disorientati, evoca il dramma del perdersi.

Quello che posso dire, avvalendomi dell’esperienza sinora accumulata, è che si può stare meglio e affrancarsi da questo malessere, laddove si accetta, certo con coraggio, di chiedere aiuto fidandosi del curante.

Ciò pre-suppone (prima e più profondamente) di accettare che ci sia una istanza che chiede ascolto dentro di sé o, in altri termini, un disagio che non si riesce a riconoscere e a percepire. E che forse il non volerlo ammettere fa proprio parte della causa scatenante il sintomo panico.

E’ l’inizio dell’uscita dal tunnel, mettiamola così, ma già deciderlo è un primo modo per sfidare il disagio e riprendere in mano il bandolo della matassa della propria vita.

Poi, quel che si scopre di sé e della propria storia, via via che si dipana la matassa, ha il sapore irripetibile di esistenza umana, magari dolorosa ma certamente propria, e porta frequentemente nella direzione di un graduale e persistente stato di maggior controllo e benessere.

C’è stato anche chi come James Hillman, l’analista post-junghiano recentemente scomparso, ha sostenuto che il panico, come altre manifestazioni psicologiche disturbanti, è una opportunità per la persona che la sperimenta di rientrare in contatto con il mondo della natura (compresa ovviamente anche la propria di natura), da cui la nostra cultura ci ha progressivamente allontanato in favore della tecnica.

Mi trovo abbastanza in sintonia con la visione di questo autore, il quale ha scritto pagine molto intense riguardo al mito di Pan, il dio delle selve, mezzo uomo e mezzo caprone, le cui urla spaventano i viandanti (da cui il timor panico), ed il punto focale, che cerco sempre di condividere con le persone che mi chiedono aiuto, è che si tratta di fenomeni umani e, come tali, si possono vivere e attraversare anche se si ha il timore di perdersi.

Il terapeuta, in questo senso, accompagna la persona per un pezzo di strada, sino a che questa, rassicurata e più consapevole, riprende il proprio percorso da sola.

Forse la soluzione della psicoterapia non ha per tanti il fascino delle scienze cosiddette “esatte”, ma di sicuro, se lo si permette a se stessi, consente di accedere alla dimensione poetica e umana, irriducibile per ogni vita.